lettera ai ragazzi che vogliono fare i fotografi. | COLLE Photography
lettera a un ragazzo che vuol fare il fotografo

lettera ai ragazzi che vogliono fare i fotografi.

Ieri sera ho avuto una conversazione con una ragazzo di 20 anni che vuole fare il fotografo. Ho deciso di scrivere una lettera ai ragazzi che vogliono fare i fotografi.
 
Ha senso pensare di essere un fotografo e non un creatore di contenuti digitali? In questo mondo che non ha tempo, in cui tutto è a disposizione con un Click, dove l’AI crea un’immagine solo perchè gli dici come la vuoi?
 
La mia risposta è: si ha senso credere ancora nella fotografia.
Ma semplicemente perchè il fotografo fa un lavoro diverso da tutti, se lo sa fare davvero.
Vi racconto la discussione in presa diretta, esattamente com’è andata, o forse è più corretto dire vi riporto la mia risposta.
  

Sai il problema? è che non ci state più a capire un cazzo di cosa è la fotografia. 

 
In un mondo fatto da intelligenza artificiale e di Iphone che le fanno meglio avete perso il concetto di fotografia. 
 
E hai voglia 20 enne dall’occhio buono di dirmi “sai perchè le macchine di oggi raccolgono più dati possibili, poi, dopo, scegli”. Ma che scegli? Dopo non ha senso scegliere. Perché la fotografia è azione è passione, perchè la fotografia la fai stando da una parte. Non si può scattare senza prendere una posizione, anzi senza avere una posizione. Perché portare a spasso una macchina fotografica lo possono fare tutti, ma fotografare no. Per farlo devi avere una cavolo di idea in testa, devi avere l’irriverenza, la sfrontatezza di dire quello che pensi. Tu guarda alle  volte devi anche avere il coraggio di non intervenire per lasciare che la scena si componga da sè pensa un pò.
 
A volte  perfino devi anche avere il coraggio di darti un pugno nello stomaco per scattere, per non rinunciare a far sapere quello che hai visto. Ma soprattutto, come lo hai visto, dal tuo punto di vista strettamente personale. 
 
Se non hai il coraggio lascia stare, ti capisco. 
 
Se quando punti sei a fare una mera descrizione della realtà, un pò asettica, un pò politically correct, un pò senza disturbare mettila via la macchina. 
 
Dai retta, ne trovi a migliaia di fotocopiatori, di quelli che uno “stile” è usare sempre lo stesso diaframma o usare sempre quel colore, quell’unica luce. 
 
Lascia stare quella non è fotografia, sarà utile, redditizio, ma non è fotografia. 
 
La fotografia è quel momento che rubi al tempo che passa, ma visto attraverso i tuoi occhi. Fotografia è l’irriverenza di Erwitt che con i cani descrive i padroni.
 
Fotografia sono i ritratti che non ti fanno vedere di Robert Mapplethorpe, ormai così censurato che sembra abbia fotografato solo fiori. O forse mi viene il dubbio non fossero fiori.
 
La fotografia è usare la realtà per dirti qualcosa, o se serve per svegliare la coscienza, la fotografia è la proiezione di un piano emozionale interiore. 
 
Ti credo che a Robert gli tremavano le mani, pioveva piombo da tutte le parti.
 
Se porti a spasso la macchina e scatti sempre nello stesso modo, sempre la stessa cosa nel tuo studiolo dal look curato non stai facendo fotografia, stai copiando la prima foto che hai fatto. Se vai in giro e fai paesaggi sempre con lo stesso schema, le stesse impostazioni, non stai facendo fotografia, stai controllando che la tua macchina funzioni. Stai nella tua zona di comfort tranquillo e rilassato guardando la vita da una finestra, mentre tutto passa e tutto scorre. Che poi diciamocela noi non sappiamo quanto dura sto viaggio per cui forse è il caso di andarci fuori dalla finestra a vedere cosa c’è.  
 
La fotografia rompe gli schemi se è buona fotografia, la fotografia inchioda quel secondo e lo rende eterno o semplicemente ti dice quello che vorresti essere. 
 
Una delle mie foto più apprezzate per anni era una bella ragazza bionda che correva a cavallo su una spiaggia, qualcuno ha visto solo il cavallo e non ci ha capito molto devo dire. Qualcuno ha capito che era un’amazzone, ma si sa il messaggio non era per tutti. Perchè un’amazzone? 
 
Per dire che alle donne che racconto io non serve un matrimonio per essere forti, magari le aiuta un vestito da sposa a sentirsi belle, ma poi cavalcano da sole. 
 
L’ho distrutto il file di quella foto, mi aveva rotto spuntava da tutte le parti e mi dicevano.. “ah ma si quella foto la ragazza a cavallo” e mi ero rotto le scatole di raccontare che era fatta con un 14 e che la terra tremava mentre la bestia mi passava a pochi centimetri dalla testa.
 
Certo lo devi sapere a che cappero serve un 14 e magari anche come si usa un 14. Un grandangolo vero, di quelli di vetro che se non fai il bravo distorcono e la ragazza diventa un puntino sul cavallo.
 
Vaglielo a dire all’AI che usi un 14 se non sai che c’è un 14 se non sai come ragiona un 14. Vaglielo a dire di farti una foto se non ha un’idea nella testa, se ti serve replicare all’infinito la solita foto che fanno gli altri. Vaglielo a dire che faccia una foto di una torta che cade, se non l’hai mai vista se non l’hai mai pensato. Se non ti rendi conto che un matrimonio è un copione scontato che tutti conoscono, ma che se sai guardare, che se il tuo dito è veloce e pronto puoi beccare quel momento imprevedibile. Tra l’altro sarà quello che tutti si ricorderanno. Quella rottura con le forme pirandelliane precise e immutabili.
 
Ma certo è quel momento in cui devi essere sveglio, devi essere lì, non per portare a spasso una macchina, ma in sintonia con il sistema, parte di quello che sta accadendo, ma distaccato per poter allineare a una velocità che non è da tutti, testa occhi e cuore. E certo che se mentre allinei ti giri e chiedi “scusa a quanto metto gli ISO?”  Ecco magari in quel momento l’attimo passa. Non è colpa sua, l’attimo è fatto così, un pò bastardo di natura.
 
Scattare fotografie, o almeno un certo tipo di fotografie, quelle che fanno uscire un sorriso, quelle che catturano un’emozione, che non puzzano di fotocopia per capirsi, quelle che non sono tutte uguali a quelle che ha già fatto qualcun altro è un pò come essere un attaccante in area di rigore. Ci vuole una certa destrezza, un po’ come Inzaghi, la puoi buttare dentro di piede, di testa o di culo, ma devi esserci lì, pronto e concentrato. Ma la cosa buffa è che oggi si crede che tutti possano scattare delle belle foto perchè hanno una macchina oppure il cellulare, un pò come se tutti sapessimo giocare a calcio perchè abbiamo comprato un pallone. 
 
Forse è irriverente e altezzoso, ma per diventare buoni fotografi serve un certo x factor, come per cantare, come per guidare a 300 all’ora, come per giocare in serie A, bisogna essere portati. 
 
Poi certo come in tutte le cose si può migliorare, ma io non credo che benché ami le moto se mi dessero la Ducati di Bagnaia potrei fare un tempo decente. 
 
Oh poi capiamoci, se hai l x factor ma non ti alleni, non sei ossessionato da questo lavoro, resterai quello che fa foto carine la sera con gli amici mentre farai un altro lavoro che magari non ti piace. Sai quanti potevano giocare in A ma si son persi per strada?
 
E’ vero la fotografia sta benissimo, se ne scattano migliaia ogni giorno, ma per dirla con Salgado, molte sono immagini, non lasciano tracce. Certo oggi fare una fotografia che buchi e catturi l’attenzione è sempre più difficile.  Ma questo è dovuto al fatto che non si vede all’orizzonte ciò che dovrebbe essere la bandiera di un fotografo: il coraggio. 
 
Che non vuol dire puntare sempre sulla “prima ondata”, ma magari vuol dire rompere due regole o due schemi mentali, senza appiattirsi su un modello da replicare all’infinito come un disco rotto. Non fare sempre quello che fanno gli altri e magari non fare nemmeno quello che hai già fatto tu.  Le fotografie sono come le barzellette, quando le conosci non fanno più nessun effetto.
 
Quindi caro ragazzo di 20 anni che non andrai alla Laba sprecando un certo occhio che madre natura ti ha dato, se da una parte fai bene per non correre il rischio di omologarti dall’altro considera che saperne di tecnica è importante. 
 
Se metti un soggetto alla finestra e sai usare uno spot, o come i vecchi fotografi ti avvicini e misuri con un Sekonic riuscirai a capire che fai 2 foto diametralmente opposte. 
 
Se decidi di puntare sulle ombre mi aprirai tutto appiattendo l’immagine (e ringrazia che hai 15 stop di gamma cromatica). Cosa otterrai? Un’immagine patinata serena e tranquilla, che mi racconterà di un modo quasi fatato senza dubbi o pensieri. 
 
Ma se per caso un giorno ti capitasse di mettere a una finestra una brava fotografa vestita da sposa e metterai il tuo spot (sempre che tu sappia dove è, cos’è come ragiona, cosa misura..) sulla sua parte più luminosa otterrai una foto a tinte scure, magari anche un pò cupa. Ma quando tu le consegnerai il servizio lei ti dirà ma tu come hai fatto a capire che ero terribilmente agitata e vedevo tutto nero? E lì avrai capito che fotografare è qualcosa di più di premere un pulsante; è creare un linguaggio che permetterà agli altri di ascoltare ciò che tu stai dicendo. 
 
Ma certo le emozioni, le racconti in presa diretta, bloccandole sul momento, non ricostruendo dopo con artifici di photoshop o chiedendo all’AI. Le emozioni quelle vere le puoi fermare solo sul momento. Ma bloccale subito prima che passino, ricorda a noi fotografi è stato regalato un verbo bellissimo. Qualcosa che quando lo dici da i brividi, qualcosa che ha a che fare con la paura più grande dell’uomo: noi fermiamo il tempo, noi immortaliamo.
 
Ti pare poco? Certo se sei ancora li che mi chiedi quanti ISO, magari immortalerai l’attimo dopo, ma quello se ti impegni, vedi che riuscirai a migliorare. 
 
Imparala la tecnica ragazzone, è come voler studiare la matematica e non sapere che cosa sono i segni delle 4 operazioni, o andare in auto e non chiedersi cosa è quella simpatica spia gialla che si è accesa.. in effetti fa cromia, ma magari stai per sbiellare. 
 
E visto che sei uno che le cose le sa, ti cito Geroge Rodger:
 
“Naturalmente, quando si è davvero all’inizio, bisogna imparare qualche regoletta tecnica. Lo devi fare, se vorrai esprimerti esteticamente attraverso mezzi e strumenti puramente meccanici (il fuoco, il diaframma, la velocità, etc. etc.). Ma questi dovranno diventare in fretta dei riflessi condizionati e poi dimenticati. Essi dovranno diventare per te istintivi come l’aprire la bocca per mordere una mela. Poi, una volta stabilito questo automatismo, potrai concentrarti su quello che vedi nel mirino perché è attraverso il mirino che tu stabilisci il legame tra la realtà e la tua interpretazione di esso. Ricordalo. Qualunque cosa tu vedi sul vetro smerigliato della tua Rolleiflex è realtà.”
 
Impara la tecnica, la base del linguaggio che poi ci sono cose interessanti da dire, ma se non sai la lingua, se non conosci il codice segreto, dimmi di cosa stiamo parlando.. Non potrai mica rimandare tutto a dopo? Dopo è già tutto passato, le emozioni, le idee..
 
Tra l’altro goditelo il viaggio, il periodo in cui sperimenti provi, butti via e poi ricostruisci, perchè quella è la parte più divertente dove allenerai il tuo occhio e scoprirai se hai o meno quella caratteristica personale unica (l’x factor) che ti permetterà di dare vita alle tue fotografie, di renderle uniche e riconoscibili tra tante.
 
Per farlo purtroppo non c’è una formula magica, non esiste uno schema di come mettere il flash per creare una foto emozionante.
 
Esiste una sensibilità interiore, esiste il tuo personale coraggio di prendere una posizione e di dirlo.
 Esiste la fortuna di avere un committente che si fida di te e ti da carta bianca per fare quello che vuoi per comunicare una certa cosa. Sta a te usare questi lavori per costruire la tua unicità di artista e non creare quello che si è già visto, tu spenderesti soldi per vedere un film che hai già visto una settimana fa? 
Comunque se siete arrivati fin qui e la pensate come me, mandatemi il CV alla Collephoto vogliamo puntare su gente come voi.